. Ormai fa parte del linguaggio quotidiano ripetere “ho l’ansia”, “mi fai venire l’ansia” e così via.
Per molte persone, però, questa emozione fa parte della quotidianità. L’ansia sembra essere un elemento immancabile della vita di tutti i giorni, al punto che ci si preoccupa se non si è preoccupati. Il che diventa assolutamente opprimente. Vivere in uno stato emotivo così attivante quasi tutti i giorni per tutto il giorno porta la persona allo sfinimento.
Cerchiamo di fare un passo alla volta e andiamo a capire in che cosa consiste questa emozione.
Partiamo dal principio.
Di fronte ad un determinato evento
(A), ognuno di noi prova una specifica emozione
(C) che dipende dalla valutazione
che diamo all’evento stesso (B). Questa valutazione dipende dagli scopi
attivi in un determinato momento e dal sistema di credenze
che ogni singolo ha strutturato nel corso della vita. Le emozioni, quindi, ci tengono informati rispetto allo stato di successo o fallimento
nel raggiungimento di uno scopo.
Facciamo un po’ di chiarezza. La bocciatura ad un esame (A) può essere vissuta con tristezza (C) dal momento che la persona vede come fallito il suo scopo di laurearsi (B).
Mentre la tristezza ci parla di uno scopo ormai fallito, e quindi ci prepara a riorganizzare le nostre risorse per perseguire un nuovo scopo, la paura ci avverte che uno scopo per noi importante è in pericolo, e che quindi dobbiamo agire per preservarlo.
Nel caso della paura, lo scopo minacciato è la sopravvivenza
stessa. Il corpo, quindi, si prepara alla reazione, attivando il sistema di attacco-fuga. Aumenta il tono muscolare ed il battito cardiaco, si interrompono le funzioni non necessarie in quel momento “ad esempio la digestione”, aumenta il ritmo respiratorio ed il corpo si prepara, appunto ad attaccare o a scappare per mettersi in salvo. Si tratta di un riflesso primordiale. Gli uomini preistorici, alla vista del leone, sono pronti a correre a gambe levate nella speranza di non finire sbranati.
Col tempo abbiamo imparato a riconoscere i segnali che ci possono far presagire la presenza del leone. Non occorreva più vederlo, ma bastava sentire il fruscio delle foglie per mettere il corpo in allarme e prepararsi alla fuga. Ecco l’ansia, la “sorella evoluta” della paura. L’ansia ci prepara a scappare quando il pericolo non è ancora presente.
Il problema dell’ansia è proprio la vaghezza
di questo pericolo non meglio definito. Il che fa sì che ci si senta costantemente attivati per un attacco che potrebbe o non potrebbe mai arrivare.
Lo scopo minacciato spesso è poco chiaro, così come non è ben definita la fonte stessa del pericolo. Non sappiamo neanche quando questo pericolo avverrà, sappiamo solo che potrebbe essere terribile, e quindi ci teniamo pronti. Siamo costantemente pronti. Il sistema di attacco-fuga è sempre attivo. Il cuore batte forte per irrorare sangue ai muscoli delle gambe che sono pronte a correre. È come tornare a vivere nella preistoria e dormire con un occhio aperto e l’orecchio teso ad udire qualunque minimo rumore ci possa far pensare alla presenza di un predatore. Peccato che, molto spesso, questo predatore non arrivi mai.
Siamo spaventati all’idea di un qualcosa di imprevedibile, fuori dal nostro controllo. Per questo rimuginiamo
nell’illusione di un controllo e di una prevedibilità di per sé inesistente. Per tutelare un nostro scopo, finiamo per perseguire un antiscopo. In altri termini, anziché compiere azioni per raggiungere un obiettivo (ad esempio, fare sport per tenersi in forma), compiamo atti per evitare che accada il contrario (ad esempio, evitare di parlare in pubblico per non fare brutta figura).
Concentriamo tutte le nostre energie nel tentativo di evitare quel qualcosa di terribile e pericoloso che potrebbe (o non potrebbe) accadere. Tutto questo non farà altro che confermare la pericolosità dell’esporsi, aumentando l’immagine di sé come incapace di fronteggiare i rischi, come debole ed indegno.
Perché, quando si parla di ansia, occorre puntare l’attenzione sull’immagine che la persona ha di sé. Ci si sente incapaci
ad affrontare situazioni nuove e sconosciute. L’ansia aumenta all’aumentare non solo della gravità dell’evento temuto e della sua probabilità di avvenimento, ma anche al diminuire della propria capacità di tollerare e di porre rimedio alla “catastrofe”. Ci si vede come deboli ed incapaci di reagire, cosa questa che rende la minaccia ancora più terrificante.
Si finisce così per essere prigionieri
all’interno di pensieri, comportamenti ed emozioni che non faranno altro che aumentare la sensazione di pericolo e lo stato di ansia costante, sentendosi intrappolati in un vortice senza fine dal quale diventa difficile uscire.
Di tutto questo si parla in seduta con il proprio terapeuta. Insieme si andrà a ricostruire la storia del disturbo, dal primo esordio fino agli episodi più recenti. Si andranno ad indagare i pensieri disfunzionali e le credenze alla base del disturbo, l’antiscopo ed i vantaggi e gli svantaggi delle strategie messe in atto fino ad ora. Al tempo stesso si introdurranno tecniche per la gestione dell’ansia o altre tecniche comportamentali come, ad esempio, l’esposizione graduale a stimoli e pensieri giudicati pericolosi. Il tutto sarà calibrato in baso alle esigenze del singolo individuo e discusso passo per passo, in un clima di collaborazione e di partecipazione attiva tra paziente e terapeuta.
Uscire dalla schiavitù dell’ansia è possibile.
Dott.ssa Elena Mazzieri