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A proposito di ANSIA

ELENA MAZZIERI • 1 febbraio 2021

Ansia e paura, genesi e trattamento

Tra le emozioni che causano maggiore disagio troviamo l’ansia. Ormai fa parte del linguaggio quotidiano ripetere “ho l’ansia”, “mi fai venire l’ansia” e così via. 

Per molte persone, però, questa emozione fa parte della quotidianità. L’ansia sembra essere un elemento immancabile della vita di tutti i giorni, al punto che ci si preoccupa se non si è preoccupati. Il che diventa assolutamente opprimente. Vivere in uno stato emotivo così attivante quasi tutti i giorni per tutto il giorno porta la persona allo sfinimento.
 
Cerchiamo di fare un passo alla volta e andiamo a capire in che cosa consiste questa emozione. 

Partiamo dal principio. 
Di fronte ad un determinato evento (A), ognuno di noi prova una specifica emozione (C) che dipende dalla valutazione che diamo all’evento stesso (B). Questa valutazione dipende dagli scopi attivi in un determinato momento e dal sistema di credenze che ogni singolo ha strutturato nel corso della vita. Le emozioni, quindi, ci tengono informati rispetto allo stato di successo o fallimento nel raggiungimento di uno scopo.
 
Facciamo un po’ di chiarezza. La bocciatura ad un esame (A) può essere vissuta con tristezza (C) dal momento che la persona vede come fallito il suo scopo di laurearsi (B). 

Mentre la tristezza ci parla di uno scopo ormai fallito, e quindi ci prepara a riorganizzare le nostre risorse per perseguire un nuovo scopo, la paura ci avverte che uno scopo per noi importante è in pericolo, e che quindi dobbiamo agire per preservarlo. 

Nel caso della paura, lo scopo minacciato è la sopravvivenza stessa. Il corpo, quindi, si prepara alla reazione, attivando il sistema di attacco-fuga. Aumenta il tono muscolare ed il battito cardiaco, si interrompono le funzioni non necessarie in quel momento “ad esempio la digestione”, aumenta il ritmo respiratorio ed il corpo si prepara, appunto ad attaccare o a scappare per mettersi in salvo. Si tratta di un riflesso primordiale. Gli uomini preistorici, alla vista del leone, sono pronti a correre a gambe levate nella speranza di non finire sbranati.
Col tempo abbiamo imparato a riconoscere i segnali che ci possono far presagire la presenza del leone. Non occorreva più vederlo, ma bastava sentire il fruscio delle foglie per mettere il corpo in allarme e prepararsi alla fuga. Ecco l’ansia, la “sorella evoluta” della paura. L’ansia ci prepara a scappare quando il pericolo non è ancora presente. 
Il problema dell’ansia è proprio la vaghezza di questo pericolo non meglio definito. Il che fa sì che ci si senta costantemente attivati per un attacco che potrebbe o non potrebbe mai arrivare. 

Lo scopo minacciato spesso è poco chiaro, così come non è ben definita la fonte stessa del pericolo. Non sappiamo neanche quando questo pericolo avverrà, sappiamo solo che potrebbe essere terribile, e quindi ci teniamo pronti. Siamo costantemente pronti. Il sistema di attacco-fuga è sempre attivo. Il cuore batte forte per irrorare sangue ai muscoli delle gambe che sono pronte a correre. È come tornare a vivere nella preistoria e dormire con un occhio aperto e l’orecchio teso ad udire qualunque minimo rumore ci possa far pensare alla presenza di un predatore. Peccato che, molto spesso, questo predatore non arrivi mai.
 
Siamo spaventati all’idea di un qualcosa di imprevedibile, fuori dal nostro controllo. Per questo rimuginiamo nell’illusione di un controllo e di una prevedibilità di per sé inesistente. Per tutelare un nostro scopo, finiamo per perseguire un antiscopo. In altri termini, anziché compiere azioni per raggiungere un obiettivo (ad esempio, fare sport per tenersi in forma), compiamo atti per evitare che accada il contrario (ad esempio, evitare di parlare in pubblico per non fare brutta figura).
Concentriamo tutte le nostre energie nel tentativo di evitare quel qualcosa di terribile e pericoloso che potrebbe (o non potrebbe) accadere. Tutto questo non farà altro che confermare la pericolosità dell’esporsi, aumentando l’immagine di sé come incapace di fronteggiare i rischi, come debole ed indegno. 

Perché, quando si parla di ansia, occorre puntare l’attenzione sull’immagine che la persona ha di sé. Ci si sente incapaci ad affrontare situazioni nuove e sconosciute. L’ansia aumenta all’aumentare non solo della gravità dell’evento temuto e della sua probabilità di avvenimento, ma anche al diminuire della propria capacità di tollerare e di porre rimedio alla “catastrofe”. Ci si vede come deboli ed incapaci di reagire, cosa questa che rende la minaccia ancora più terrificante. 
Si finisce così per essere prigionieri all’interno di pensieri, comportamenti ed emozioni che non faranno altro che aumentare la sensazione di pericolo e lo stato di ansia costante, sentendosi intrappolati in un vortice senza fine dal quale diventa difficile uscire. 

Di tutto questo si parla in seduta con il proprio terapeuta. Insieme si andrà a ricostruire la storia del disturbo, dal primo esordio fino agli episodi più recenti. Si andranno ad indagare i pensieri disfunzionali e le credenze alla base del disturbo, l’antiscopo ed i vantaggi e gli svantaggi delle strategie messe in atto fino ad ora. Al tempo stesso si introdurranno tecniche per la gestione dell’ansia o altre tecniche comportamentali come, ad esempio, l’esposizione graduale a stimoli e pensieri giudicati pericolosi. Il tutto sarà calibrato in baso alle esigenze del singolo individuo e discusso passo per passo, in un clima di collaborazione e di partecipazione attiva tra paziente e terapeuta. 

Uscire dalla schiavitù dell’ansia è possibile.
 
Dott.ssa Elena Mazzieri
Autore: ELENA MAZZIERI 15 febbraio 2021
Sono le due di notte . Siete tranquilli nel vostro letto e state dormendo ormai da un po’. Siete in un bel sonno profondo, quando all’improvviso vi svegliate di soprassalto , con il cuore che batte a mille, il fiato corto, un sudore freddo che scivola lungo la schiena e la convinzione che ci sia qualcosa che non vada. Che sia un infarto? Un ictus? Una qualunque altra malattia? Mentre mille dubbi vi attanagliano la mente, questa sensazione orribile sembra non passare, anzi… Vi sentite sempre peggio e cresce in voi il dubbio che forse state per morire . O impazzire . Bhe, comunque la mettiate, la situazione è tremenda. E pensare che fino a pochi minuti prima stavate dormendo beati! Non sto parlando di un film dell’orrore, anche se la paura forse è anche più intensa. Quello che ho provato a descrivere molto brevemente è l’ attacco di panico notturno . Si tratta di una forma panico intenso e terribile, perché avviene quando ci sentiamo indifesi ed incapaci di reagire : durante il sonno appunto. Solitamente accadono tra l’1.30 e le 3 di notte, nel passaggio dal sonno più leggero ( non-REM ) a quello più profondo (REM). I sintomi più comuni sono tachicardia ed irregolarità del battito cardiaco, difficoltà a respirare , tremori e vampate di calore o brividi di freddo . Si ha una costante paura di morire , al punto da arrivare a temere gli stati di rilassamento ed il sonno stesso. Come posso io pensare di dormire se, quando lo faccio, potrei non svegliarmi più? Allora iniziamo a lottare con il letto e con la notte, monitorando attentamente ogni minimo segnale che viene dal nostro corpo. Tutta la nostra attenzione è diretta verso il nostro corpo . Il cuore sta battendo troppo forte? Il respiro è affannoso? Nell’estremo tentativo di tenere sotto controllo il nostro corpo, questo finisce con il rispondere esattamente con i segnali che stiamo disperatamente cercando di evitare. Controllando ossessivamente il battito cardiaco nella speranza che le pulsazioni non salgano, non facciamo altro che aumentare la nostra preoccupazione. La conseguenza di tutto questo, ahimè, saranno proprio quei battiti più frequenti ed il respiro corto. Gli attacchi di panico avvengono solitamente quando le persone provano sensazioni sulle quali credono di non avere controllo . Queste sensazioni vengono interpretate come minacciose scatenando, di conseguenza, l’ ansia . Peccato però che l’ansia stessa produca quelle sensazioni corporee che poi interpretiamo come minacciose. Ecco qua che si attiva un circolo vizioso da cui sembra difficile uscire. A maggior ragione, la paura della paura diventa più forte se a scatenare i sintomi è il sonno, uno stato sul quale non abbiamo proprio alcun controllo. Non c’è da stupirsi se gli attacchi di panico notturni causano insonnia o deprivazione del sonno. Se l’ultima volta che ho perso il controllo (dormendo) mi sono svegliato con la sensazione di stare per morire, come faccio ad addormentarmi di nuovo? Si arriva a temere ogni stato di rilassamento, ogni stato in cui non riusciamo a prestare attenzione agli stimoli circostanti potenzialmente pericolosi. Essere sempre vigili e attivi significa essere pronti e preparati rispetto ad ogni possibile minaccia. Studi hanno dimostrato che chi soffre di attacchi di panico notturno si sente incapace di reagire di fronte a situazioni di minaccia inaspettate (Smith et al., 2019). In altre parole, non ci si può permettere di mollare la presa, perché se ci rilassiamo bhe… la catastrofe è imminente, e noi non siamo in grado di reagire. Se poi riusciamo ad addormentarci, siamo ipersensibili ad ogni minimo rumore o fastidio interno ed esterno. Ci si sveglia nel cuore della notte, proprio in quell’orario in cui, solitamente, avvengono gli attacchi di panico notturni. A tutto questo si accompagna una difficoltà nel trovare una causa scatenante . In fondo non stavamo pensando a niente di particolare, o se lo stavamo facendo proprio non riusciamo a ricordarlo. Stavamo solo dormendo. Questa incapacità di trovare il trigger, rende l’attacco di panico notturno ancora più spaventoso proprio perché imprevedibile. Potrebbe risuccedere in ogni momento e noi, persi tra le braccia di Morfeo, saremmo nuovamente impreparati e incapaci di reagire. Occorre distinguere tra il pavor nocturnus e gli attacchi di panico notturni . Il primo, molto frequente nei bambini, si verifica nella fase di sonno REM, a differenza degli attacchi di panico che avvengono nella fase non rem. Sebbene spesso le sensazioni sono simili (ansia, tachicardia, sudorazione e respiro corto), il pavor è legato ad un incubo, per cui una volta diventati consapevoli che si trattava solo di un brutto sogno, ci si riaddormenta. Questo non accade nell’attacco di panico, in cui non c’è un ricordo di un sogno e non si riesce mai a ritrovare il sonno. La mancanza di sonno, la difficoltà a rilassarsi ed il costante stato di allerta porta la persona a sentirsi sfinita, con conseguenze rispetto al funzionamento sociale e lavorativo. Purtroppo l’attacco di panico notturno non è così infrequente come si potrebbe pensare. Il 50-70% delle persone che soffre di attacco di panico sperimenta, almeno una volta, un attacco di panico notturno. Una buona notizia però: sono curabili. La psicoterapia Cognitivo-Comportamentale è il trattamento di prima scelta per il disturbo di panico e aiuta le persone a comprendere e gestire gli attacchi di panico. La maggior parte delle persone che segue un trattamento individualizzato ottiene risultati positivi e a lungo termine. Il che non significa che non avremo più attacchi di panico. Che siano notturni o diurni, gli attacchi di panico sono un po’ come il raffreddore: prima o poi lo avremo tutti. La differenza la fa un po’ la biologia ed un po’ le esperienze di vita. Ci sono persone che ai primi freddi iniziano ad avere a che fare con fazzoletti, naso che cola e fumenti, mentre altri possono uscire d’inverno senza sciarpa e non starnutire nemmeno una volta. Se poi lavoriamo all’aperto abbiamo più possibilità di incappare in una giornata piovosa e, quindi, di raffreddarci rispetto a chi lavora al chiuso. Una cosa è certa: nessuno è immune al raffreddore. Abbiamo solo imparato a gestirlo. Se siamo cagionevoli, cerchiamo di non uscire mai senza cappello o sciarpa, sappiamo riconoscere i primi sintomi e sappiamo intervenire con la cura più adatta a noi in caso di influenza. Con il panico funziona un po’ allo stesso modo. Grazie alla psicoterapia si impara a riconoscere e modificare gli stili di pensiero disfunzionali ed i comportamenti maladattivi che mantengono il disagio . Inoltre si apprendono tecniche per gestire e ridurre i sintomi dell’ansia . Insieme con il terapeuta la persona troverà la strategia più adatta a lui per superare gli attacchi di panico notturni e tornare a riposare. Dott.ssa Elena Mazzieri Smith, N. S., Albanese, B. J., Schmidt, N. B., & Capron, D. W. (2019). Intolerance of uncertainty and responsibility for harm predict nocturnal panic attacks. Psychiatry Research 273, 82-88.
Autore: ELENA MAZZIERI 8 febbraio 2021
La sofferenza è uno dei motori principali che spingono le persone ad intraprendere un percorso di psicoterapia . Molto spesso quel dolore che proviamo diventa per noi così spaventoso che ci attiviamo prima ancora di sentirlo. Facciamo di tutto per sbarazzarcene . E non mi riferisco soltanto a comportamenti disadattivi come l’uso eccesivo di alcool o sostanze. Mi riferisco soprattutto a quei piccoli gesti che facciamo quotidianamente senza neanche accorgercene al solo scopo di non sentire quel dolore. Ci teniamo occupati con ogni genere di attività, parliamo con amici, parenti e fidanzati, rimuginiamo, razionalizziamo, pensiamo, facciamo di tutto pur di non stare nella sofferenza. Ciò che ci accomuna è proprio la sofferenza, una qualità tipicamente umana che pensiamo di aver accettato, ma che in realtà ci barcameniamo in tutti i modi per non sentire. Siamo così terrorizzati di fronte alla possibilità di provare il dolore che al primo campanello di allarme ci mobilitiamo per non sentire nulla. Siamo alla ricerca costante di un anestetico, di un antidoto al nostro dolore, come se stare male fosse qualcosa di inaccettabile. Altro che super-uomo. Dobbiamo sempre e soltanto essere al top, non accettando neanche la minima possibilità di essere meno rispetto al 100%. Cosa ci sarà poi di così orribile in quel 90% o, peggio ancora, 50%? Ora vi devo dare una cattiva notizia. Purtroppo in quella sofferenza dobbiamo starci . Ebbene sì… per affrontare un cambiamento , per poter evolvere, occorre davvero accettare la nostra sofferenza, non soltanto far finta. Perché ci crogioliamo nella illusione di aver accettato il nostro dolore, e di aver trovato la spinta per andare avanti. Ma la chiacchierata con l’amico o il collega, in realtà, non significa aver accettato la sofferenza. Aver corso per 10 kilometri allo scopo di scaricare lo stress, non significa aver conosciuto il nostro dolore. Arrancare alla ricerca di una cura che, per magia, ci faccia stare meglio in poco tempo, altro non è che una fuga estrema al nostro star male. Per accettare davvero il dolore, purtroppo, dobbiamo viverlo . Certo, stare male non è bello, tutt’altro. Stare seduti sul vuoto, accogliere quel dolore, quella sofferenza, è una delle cose più spaventose che ci possa accadere. Ma siamo davvero sicuri di non riuscire a gestirlo? Possiamo davvero superare le nostre paure senza davvero affrontarle? Prima di rifuggire dal dolore, è necessario accoglierlo a braccia aperte, comprenderlo, capire da dove viene e stare lì, seduti sul divano con quella sofferenza che ci spaventa così tanto. Soltanto comprendendo cosa ci fa stare male, accettando davvero (e non per finta) quella sofferenza, possiamo trovare le forze per rialzarci e riaffrontare il mondo con nuove risorse. Ascoltiamo quello che le nostre emozioni ci vogliono dire, non temiamole. Accettiamo la tristezza. Accettiamo la sconfitta. Accettiamo il fallimento. Accettiamo la perdita. Accettiamo l’ansia. Accettiamo la paura. Accettiamo tutto ciò che ci fa stare male. Scottiamoci, soffriamo, preoccupiamoci. Facciamo tesoro di questi insegnamenti. E poi rialziamoci. Dott.ssa Elena Mazzieri
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